Mentre studiava alla Scuola Enologica di Alba, Marco Brangero osservava con attenzione il mondo del vino che lo circondava e si chiedeva se non fosse venuto il tempo di dare una svolta all’azienda di famiglia: quella che prima il nonno e poi il padre avevano creato e sviluppato, come del resto in quegli anni accadeva piuttosto frequentemente, vendendo ai privati sia le uve di Dolcetto e Barbera sia le damigiane di questi vini. Per questa ragione, quando cominciò a lavorare in azienda a fianco al padre, Marco aveva già le idee chiare. Poco per volta prese in mano quella che era a tutti gli effetti un’azienda agricola della quale il vino rappresentava solo un aspetto, per fare di quest’ultimo il fulcro praticamente esclusivo dell’attività.
A vent’anni dunque cominciò a imbottigliare i suoi vini e cercare a Torino e Milano, setacciando palmo a palmo ristoranti ed enoteche a cui far conoscere e vendere le sue etichette. Stabilendo però lui il prezzo: “Quella del prezzo – ci svela Marco – per me è stata una sorta di principio: la vita dei miei nonni e dei miei genitori, era stata segnata dal prezzo fatto da altri. Il prezzo delle uve, delle nocciole, dei vitelli era sempre stabilito dai compratori. E io questo non potevo accettarlo: a decidere il prezzo del mio vino volevo essere io”. Fu questo cambio di passo, certo all’inizio non facile, a consentire all’azienda di crescere e di guardare al futuro in una prospettiva di sviluppo, ben diversa da quella precedente. E con una graduale crescita delle esportazioni che consentì al nome di Brangero di assumere via via un tratto sempre più internazionale
Enologo e agronomo: una collaborazione decisiva
“Certo per fare un buon vino – ed è proprio Marco Brangero a dirlo – la cantina è decisiva. Troppo spesso però il vino oggi viene fatto quasi esclusivamente in cantina, dimenticando invece quel che dà a ciascun vino il suo carattere specifico e la sua identità irripetibile: e cioè la vigna e il terreno in cui le viti affondano le loro radici”.
Per questo vigna e cantina vanno pensate in modo coordinato: “Già quando frequentavo la Scuola Enologica – continua Marco – avevo ben chiaro che senza un serrato dialogo tra agronomo ed enologo il risultato in bottiglia rischia di essere al di sotto delle potenzialità effettive del vino”.
Non è strano in questo senso che nell’Azienda agricola Brangero lavorino fianco a fianco l’agronomo Gianpiero Romana e l’enologo Gianfranco Cordero: il primo intento a curare i terreni con pratiche organiche e ossigenazioni, garantendo vigne sane e uve concentrate; il secondo invece chiamato successivamente a interpretare quella materia, traducendola in vini non solo fortemente riconoscibili, ma anche capaci di “far parlare la terra” da cui quelle uve nascono. Marco al riguardo è netto: “In Italia, anche in aziende di dimensioni notevoli, si tende ancora troppo ad affidarsi solo all’enologo, dimenticando che senza il lavoro in campo i vini che nasceranno non diranno mai veramente se stessi.
E questo a partire dalla scelta del clone, altro tema troppo spesso sottovalutato: un clone troppo produttivo annulla il carattere del vino, uno troppo spinto rischia di schiacciare il territorio. Serve misura e, in questo senso, puntare sui cru non è semplicemente un esercizio di stile, ma piuttosto lo sforzo di far sì che il vino possa esprimere al meglio la collina che li produce”.
Sobrietà, eleganza, carattere
E il terroir, nei vini dell’Azienda agricola Brangero, parla davvero, riuscendo a dire la sua senza se e senza ma. E a farcelo capire da subito è stato il Dolcetto di Diano d’Alba Sori Cascina Rabino Soprano (2023): la sua partenza, sia al naso che in bocca, è stata tanto sobria da sembrare austera. Se però gli darete del tempo, magari anche stappandolo un'oretta prima di berlo, i suoi profumi e i suoi sapori esploderanno e vi daranno l'impressione di trovarvi davvero davanti a un grande vino connotato da un’inattesa capacità di evolvere. Altrettanto espressivo del territorio risulta anche essere il Nebbiolo d'Alba Quattro cloni (2022): un vino che racconta una storia di varietà come ricchezza: equilibrato, morbido e rotondo, ma evidenziando al contempo una forte personalità, nel calice porta le sfumature di più anime fuse in una sola voce, capace di raccontare il territorio con eleganza e fermezza. Decisamente da provare, anche l’Alta Langa Metodo Classico Extra Brut (2021), 60% Pinot Nero e 40% Chardonnay, che la dice lunga su quanto Marco ami le bollicine, che in questo vino si distinguono per il perlage fine, per i profumi delicati e per l’eleganza complessiva. E, anche, in questo caso, capaci di dare il meglio di sé dopo averle lasciate in cantina qualche annetto.
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Cantina: Azienda agricola Brangero
Indirizzo: via Provinciale Montelupo, 26 – Diano D’Alba (CN)-
Telefono: (+39) 338 1283229