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Eventi | 28 aprile 2023, 17:40

A Bricherasio Perlino e Falco raccontano il loro Afghanistan

Un trekking del 2018 nel Wakhan li ha portati alla scoperta di montagne familiari, pochi uomini ma accoglienti, e paesaggi stranianti

A Bricherasio Perlino e Falco raccontano il loro Afghanistan

“L’Afghanistan non è l’eden. Esistono persecuzioni religiose, etnie oppresse ed isolate, discriminazioni legate alla sessualità...”, raccontano il cantalupese Valter Perlino e il bricherasiese Mauro Falco, eppure per andarci lì hanno fatto ‘carte false’.

Il loro trekking del 2018, che raccontano attraverso video e immagini questa sera a Bricherasio, a partire dalle 21 al centro culturale Aldo Moro (via Vittorio Emanuele II 79/B), è stato un’avventura partita ancora prima del viaggio: “Siamo entrati e usciti dal Paese passando dal Tajikistan, ma prima per ottenere il visto abbiamo dovuto recarci dall’ambasciatore afghano a Roma – racconta Perlino –. Durante il colloquio ha voluto sincerarsi che avessimo dei riferimenti sicuri e che fossimo intenzionati veramente a recarci nel Whakan, telefonando uno per uno ai contatti che avevamo salvato in rubrica”.

Il Wakhan Corridor’ si trova all’estremità nord orientale dell’Afghanistan: un peduncolo di terra tra Tajikistan, Pakistan e lo Xinijang cinese. “Qui si percorrono sentieri polverosi ed antichi, già raccontati da Marco Polo – spiega Perlino –. Al fondo di gole profonde e rocce erose, corre il fiume Wakhi che quando ghiaccia, d’inverno, viene utilizzato come percorso alternativo ai valichi alti, diventati del tutto impraticabili”.

I dieci giorni del trekking si sono svolti ad ottobre, in autunno inoltrato, su un altopiano ai 4.000 m s.l.m., immersi in un paesaggio brullo quasi lunare, puntellato delle macchie gialle di betulle, con davanti agli occhi quella che gli abitanti del posto chiamano la ‘Montagna Bianca’. Ricordava loro la sagoma familiare del Monviso. Ma in un contesto del tutto straniante e che ricordava alcune delle sofferenze recenti degli abitanti di quel Paese: “Armamenti militari arrugginiti, bossoli, piattaforme in cemento... Anche senza volerlo, ci si imbatteva nelle tracce dell’invasione russa” racconta Falco.

Una camminata di 200 chilometri, con un dislivello positivo sui settemila metri, al fianco di una guida locale di tutto riguardo: Malang Darya, il primo afghano salito sul Noshaq, la montagna più alta del Paese. Con loro alcuni aiutanti e i muli per i bagagli. “Qui, ogni forma di turismo e di trekking organizzato sono di là da venire” afferma Perlino, per i pernottamenti infatti c’erano per lo più capanne in pietra senza porte né finestre. E per scaldarsi il fuoco acceso con un combustibile a cui non siamo abituati: “La sera, all’interno delle capanne, si accendeva il fuoco con quello che c’era: lo sterco secco degli animali. Il nostro riparo si riempiva così di un fumo che bruciava gli occhi e che ci ha impregnato i capelli e i vestiti, resistendo anche alle prime docce fatte al termine del trekking” ricorda Falco.

Come vegetariano, lui ha dovuto superare una prova ulteriore: “L’unica attività sull’altopiano è la pastorizia, quindi il pasto era formato da riso e carne di pecora o montone. Per dieci giorni mi sono alimentato di solo riso, cotto nel brodo che mi ero portato dietro, e di pane”.

Nonostante le scomodità, Perlino e Falco si sono portati a casa la sensazione di essere stati accolti con ospitalità: “Magari camminavamo uno o due giorni senza incontrare anima viva ma, poi, nei piccoli villaggi e negli accampamenti dei pastori, venivamo accolti con generosità”. Un senso di angoscia sembra impadronirsi dei loro ricordi quando parlano invece della condizione delle donne. “A Kargin ci imbattemmo in un matrimonio – racconta Falco –. C’era molta gente che faceva festa ma erano tutti uomini. Solo la notte, quando ormai eravamo a dormire, sentimmo le voci delle donne: la sposa era uscita dalla sua casa e, nel buio, stava raggiungendo il marito accompagnata dalle altre donne”.

Elisa Rollino

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