Un sinodo che terminerà due giorni prima del solito e senza consacrazioni di nuovi pastori. Viene annunciato con due novità importanti l’incontro annuale della chiesa valdese che si svolge a Torre Pellice. Il paese attende l’arrivo di 180 deputati (rappresentanti delle chiese), provenienti da tutta Italia, ospiti internazionali e rappresentanze ecumeniche, che si incontreranno nella Casa valdese di via Beckwith da sabato 23 a mercoledì 27 agosto.
Durerà un giorno in meno ma si lavorerà anche la sera
Il culto di apertura del sinodo di quest’anno è stato anticipato al sabato, la serata pubblica si terrà la domenica e i giorni di lavori saranno ridotti a cinque anziché sei. “Rispetto a quello di altre chiese, il nostro sinodo è sempre stato caratterizzato da una durata maggiore perché contiamo sul confronto che avviene in quel contesto. Tuttavia le esigenze delle persone che partecipano sono cambiate e da due anni si riflette sulla possibilità di riorganizzare i tempi” rivela Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese. Da qui la decisione di iniziare già in una giornata in cui solitamente non si lavora: “Lo facciamo per tenere conto degli altri impegni professionali, personali e familiari dei deputati – spiega –. Per lo stesso motivo il sinodo durerà un giorno in meno: vogliamo che possano partecipare tutti, anche i giovani che spesso hanno condizioni di lavoro più precarie”. Per non rinunciare agli spazi di discussione, quindi, le sedute si svolgeranno anche la sera.
Crisi delle vocazioni e paura degli impegni duraturi
Un’altra novità rispetto agli scorsi anni è la mancanza di consacrazioni al ministero pastorale che avvengono proprio in occasione del sinodo. “È già accaduto in passato e la crisi delle vocazioni è un tema su cui stiamo già riflettendo” ammette Trotta. Il timore è che la stessa situazione si riproponga nei prossimi anni: “È possibile che per i prossimi due o tre anni non ci saranno consacrazioni al ministero pastorale e diaconale” annuncia. Potrebbero essere diverse le cause alla base di questo fenomeno: “Innanzitutto è un problema che riguarda tutte le chiese e non possiamo ignorare che c’è una paura diffusa nella società per gli impegni duraturi – riflette Trotta –. Inoltre quello del pastore è un ministero impegnativo: si rimane nello stesso posto per sette o, al massimo, quattordici anni e poi bisogna cambiare chiesa con spostamenti anche rilevanti sul territorio italiano”. Il percorso di studi, inoltre, non è semplice: “La facoltà di teologia dura cinque anni e uno deve essere svolto all’estero. Poi, seguono due anni di prova. Tuttavia non possiamo rinunciare a un percorso formativo così lungo perché è importante, soprattutto per i pastori di una minoranza religiosa, acquisire competenze teologiche approfondite”. La mancanza di vocazioni, secondo la moderatora, non corrisponde a una disaffezione: “I fedeli continuano a mettersi a disposizione della chiesa ma preferiscono modalità diverse”.