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Pinerolo | 08 aprile 2023, 15:18

Da Pinerolo ad Antiochia, tra il dolore e i sorrisi della Turchia devastata dal sisma [FOTO]

Le infermiere Rosini e Zaccaria raccontano la loro esperienza come parte dell’equipe della Maxi-emergenza della Regione e invitano a non dimenticare, perché la situazione è ancora tragica

L’arcobaleno sull’ospedale da campo ad Antiochia (foto di Liana Rosini)

L’arcobaleno sull’ospedale da campo ad Antiochia (foto di Liana Rosini)

“Un’esperienza devastante, che ti entra dentro e ti cambia per tutta la vita”. Così la descrive l’infermiera Sara Zaccaria, che dal 15 febbraio al 5 marzo ha fatto parte dell’equipe dell’ospedale da campo di Dafne, sobborgo della città turca di Antiochia, situata al confine con la Siria. Dove il sisma della notte tra il 5 e 6 febbraio ha cancellato migliaia di vite e stravolto l’esistenza di chi è sopravvissuto.

La prima volta

Per Zaccaria, infermiera di Piossasco che lavora nel reparto Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Pinerolo, è stata la prima esperienza nel programma per le maxi-emergenze che la Regione Piemonte attiva in caso di calamità in Italia e nel mondo. “Non volevo farmi nessun tipo di aspettativa – racconta –, arrivando là con la giusta preparazione, senza troppa ansia né tranquillità”. L’équipe, composta da settantasei volontari tra personale sanitario e tecnici, arriva ad Antiochia di notte. “Sull’aereo è calato il silenzio quando, vicini all’atterraggio, vedevamo solamente le luci lampeggianti dei mezzi di soccorso, ancora in forte attività dopo dieci giorni dalle prime scosse. Ma quando siamo scesi dall’aereo, con il buio, non ci siamo subito resi conto della gravità della situazione” spiega Zaccaria.

I problemi dei pazienti

Nella prima giornata viene allestito l’ospedale in un campo da calcio, con la collaborazione e l’impegno di tutti: in circa dodici ore vengono rese operative tende per triage, pronto soccorso, rianimazione, sala parto, sala operatoria, laboratorio analisi, radiologia e degenza. “Il gruppo si è creato lì, tra persone che si conoscevano appena o si erano incontrate lì per la prima volta. Ma avevamo un importante obiettivo in comune, che dal costruire l’ospedale è diventato il portare aiuto alla popolazione. Il lavoro di squadra e lo spirito collaborativo di quei giorni è una delle cose che mi mancano di più” rivela. Il lavoro è incessante: Zaccaria copre turni in terapia intensiva, pronto soccorso e degenza, oltre a dare una mano in ogni momento di pausa, in cucina o nella pulizia. “Qualcosa che può stupire è che i primi pazienti arrivati non erano necessariamente in gravi condizioni, ma semplicemente avevano bisogno di aiuti che in una situazione normale daremmo per scontati: c’era chi, diabetico, non aveva l’insulina perché rimasta sotto le macerie, o chi non aveva avuto accesso a un bagno o a un luogo per lavarsi da giorni” spiega.

Uno scenario di distruzione

Solo dopo qualche giorno riesce a uscire e a percepire per la prima volta le terribili conseguenze delle scosse, che si protraggono a lungo. “Vedi edifici e case distrutti, irreparabili, e immagini te stessa, la tua famiglia, la tua casa in quella situazione. Immagini di perdere tutto, ogni sogno e ogni bene, in un attimo. Immagini di non poter più ritrovare i tuoi cari, come è successo a tanti. E vedi le persone rimaste, troppo povere per potersi permettere di trasferirsi in altre zone, nelle tende montate proprio accanto a casa, per non perderla, per provare a recuperare l’irrecuperabile”. Anche Liana Rosini vive un’esperienza simile, pur arrivando tre settimane dopo per dare il cambio come infermiera di sala operatoria, anche lei dall’AslTo3. “Quando inizi, ti trovi nella situazione professionale, la stessa di casa, e non percepisci il mondo esterno. Solo uscendo, trovandoti davanti a una città completamente distrutta, chiedendoti se sarà mai possibile ricostruirla, ti rendi conto di ciò che è successo” racconta. Rosini ha già partecipato a una missione in maxi-emergenza, nel 2019 in Mozambico per aiutare dopo la devastazione causata dal ciclone tropicale Idai. “Si tratta di un contesto completamente diverso – spiega –: in Mozambico non solo la situazione era difficile, ma mancavano conoscenze e competenze. Qui invece si è trattato di ricominciare da zero, portando anche la strumentazione più basilare, a chi il giorno prima non aveva nessun problema”.

L’aiuto della popolazione

In entrambe è vivo il ricordo della popolazione, che ha portato aiuto instancabilmente anche dopo aver vissuto un simile trauma. “Subito siamo stati aiutati nella costruzione dell’ospedale. Quando poi è diventato operativo, con i pazienti c’era una forte barriera linguistica perché in quel territorio si parla quasi solo turco e arabo, e abbiamo dovuto ringraziare la possibilità di collegarci a internet per usare i traduttori automatici. Ma grazie al passaparola sui social, dopo qualche giorno sono arrivati traduttori verso l’italiano e insegnanti di inglese da altre zone della Turchia, tutti accorsi per dare una mano” raccontano. Con il secondo turno, sono invece stati stabiliti contatti con il Piemonte, inviando le immagini radiologiche a Savigliano per la corretta interpretazione.

La vita continua

“In un momento dove si considera fortunato chi riesce a ritrovare il cadavere dei propri cari, la nota di speranza e felicità che ho vissuto sono state le 31 nascite all’ospedale – continua Rosini –: è un continuo turbinio di emozioni che provi con i pazienti, senti la loro disperazione e un’ora dopo stai giocando insieme a loro”. “A me rimarranno sempre impressi i sorrisi – aggiunge Zaccaria –: un giorno, uno dei traduttori ci ha portati davanti a quello che era il ristorante del nonno, ora crollato. Siamo rimasti pietrificati, ma lui sorrideva: ‘Nonno sta bene, e quello è solo un edificio’ ci ha detto. ‘È l’ottavo terremoto che distrugge Antiochia: la ricostruiremo, come abbiamo sempre fatto’ ha aggiunto con gli occhi colmi di speranza”.

“Non dimenticate”

“Nonostante tutto, il campo mi manca – ammette Zaccaria –. In una situazione del genere porti il vero te stesso, senza maschere o imposizioni. Dedichi tutto te stesso al lavoro e all’aiutare gli altri, e torni a casa da persona diversa”. Rosini invece lancia un appello: “Ormai la notizia è passata in secondo piano, ma la situazione non è migliorata. Le persone hanno grande bisogno di aiuto, di un tetto, di beni di prima necessità. Se potete, cercate associazioni e capite cosa serve e come può essere data una mano, e soprattutto, non dimenticate”.

Rosa Mosso

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