Fare un paragone può essere azzardato. E’ ancora presto per mettere a confronto la prima ondata di marzo-aprile-maggio con quella attuale. Molto si è discusso sul perché il Piemonte sia finito in zona rossa nonostante un indice Rt - secondo i dati regionali - migliorato nelle ultime settimane.
L’Istituto Superiore della Sanità ha chiarito che sono stati presi in esame 21 parametri (consultabili QUI) su cui si è creato il discrimine tanto discusso, al centro di scontro politico tra Governo e Regioni.
Al di là della bagarre il Piemonte dal 6 novembre è ripiombato in lockdown così come la Calabria e la Lombardia.
Tra i parametri che hanno fatto sopravanzare la serrata piemontese - senza addentrarci in tecnicismi - c’è la pressione sulle strutture ospedaliere territoriali e un sistema di contact tracing “saltato”. In entrambi i casi c’è un problema - evidenziato dallo stesso assessore alla Sanità Luigi Genesio Icardi e dalle parti sociali del settore sanitario - di personale.
Prendiamo l’esempio del tracciamento piemontese. Le persone dedicate a “ricercare” contatti di caso legati al Covid-19 in tutto il Piemonte sono 239. Con un rapporto di 0.6 ogni 10 mila abitanti. La soglia minima è di 1 ogni 10mila abitanti.
Mentre resta “caldo” il tema del personale di reparto in questa fase emergenziale.
Su questo - notizia del 5 novembre - la Regione sta cercando di intervenire con 3.184 operatori sanitari aggiuntivi.
Tra questi, 514 medici e 1.273 infermieri, oltre a 1.397 altre figure professionali, come operatori socio sanitari, tecnici di radiologia, infermieri pediatrici, assistenti sanitari, assistenti amministrativi, tecnici di laboratorio e consulenti per la formazione.
In totale, ha spiegato lo stesso assessore alla Sanità regionale Luigi Genesio Icardi, sono “17 bandi di reclutamento di personale sanitario da destinare all’emergenza pandemica. Undici bandi sono già chiusi, altri due sono in fase di valutazione dei titoli. Per rendere il più possibile attrattivo il bando degli infermieri (in scadenza il 5 dicembre), abbiamo esteso la durata del contratto a tre anni.”
A livello di ricoveri, come confermato da diversi responsabili sanitari piemontesi, la situazione è già critica. In alcune realtà con una pressione anche maggiore rispetto alla prima ondata.
L’ordine dei medici del Piemonte aveva chiesto il lockdown totale già una settimana fa. Una chiusura per contenere la diffusione epidemiologica del contagio e per rallentare il processo di eventuali altri ricoveri urgenti non legati a Covid: con un lockdown si minimizzano gli spostamenti con mezzi propri, per esempio, si limitano gli incidenti stradali o tutte quelle situazioni emergenziali per cui può essere necessario un ricovero ospedaliero i cui posti letto sono al limite della saturazione.
Una scelta - quella del lockdown - dal grande impatto socio-economico e che ogni parte politica si guarda bene dall’utilizzare. Ma la chiusura totale è servita nella prima ondata per limitare la pressione sanitaria?
COME ERA ANDATA NELLA PRIMA ONDATA?
L’unico raffronto che si può dare è quello dei posti di terapia intensiva occupati e di ricoveri ordinari di pazienti positivi a Covid.
A livello piemontese l’8 marzo, ultimo giorno prima dell’isolamento nazionale, si contavano 295 pazienti “ordinari” ricoverati e 41 posti di terapia intensiva occupati da pazienti positivi al Covid-19.
Il “record” negativo di posti di TI occupati nella prima ondata si è toccato il 31 marzo: 458 posti in tutto il Piemonte. In 23 giorni di chiusura totale i posti in terapia intensiva - dove sono presenti i pazienti più gravi - sono più che decuplicati.
L’incremento maggiore rispetto al giorno precedente è stato il 19 marzo (36 pazienti in un solo giorno).
Mentre l’incremento settimanale maggiore lo si ebbe nei primi 7 giorni di lockdown. Il 9 marzo erano 61, il 16 marzo erano 193 (più del triplo rispetto alla settimana prima).
Da segnalare come dal 31 marzo in avanti i ricoveri gravi di positivi a Sars-Cov2 in Piemonte sono via via diminuiti. Arrivando al 4 maggio, primo giorno di “fase 2” a 161 ricoveri (297 in meno rispetto a quel 31 marzo).
Dalla fine del primo lockdown i ricoveri di TI non sono più saliti nei mesi successivi. Prendiamo i dati dei primi di ogni mese per fare un esempio esplicativo: il 1 giugno (54), il 1 luglio (11), il 1 agosto (5) per poi subire un nuovo lieve incremento il 1 settembre (7) e l’1 ottobre (12).
E arriviamo al 1 novembre, il giorno in cui i medici piemontesi hanno chiesto il blocco regionale per affrontare l’emergenza: in quel giorno da bollettino i ricoveri in TI intensiva hanno toccato i 179 (un valore quasi 15 volte superiore al mese precedente).
IL NUMERO DI RICOVERI ORDINARI
Un’analisi identica non si può fare per i ricoveri ordinari. I dati riferiti agli ospedalizzati dall’unità di crisi non sono stati comunicati con continuità costante durante parte del mese di marzo e parte di aprile. Mancano i numeri di ricoveri ordinari riferiti a quelli che sono stati, probabilmente, i giorni più critici.
Il 26 marzo la regione comunicava 3.041 ricoveri (anche qui il valore più che decuplicato rispetto all’8 marzo). Per rivedere un dato aggiornato quotidianamente sui ricoveri ordinari bisogna andare 14 aprile: quel giorno furono 3.335. L’indomani il 15 aprile si toccò il valore più alto della prima ondata (3.406). Il giorno con il più alto incremento è stato il 13 marzo (+239), ma c’è da dire, è anche uno dei pochi giorni di marzo in cui sono stati comunicati dall’unità di crisi i numeri del giorno precedente che consente in questo caso di fare un raffronto.
Ma come per le terapie intensive, anche nei ricoveri il valore regionale è cominciato a scendere sebbene con un andamento più “scostante” (almeno fino a metà maggio si sono registrati ancora giorni con incrementi rispetto al giorno precedente, a differenza delle TI).
Nel primo giorno di “fase 2”, il 4 maggio sono stati 2.391 i ricoveri segnalati da bollettino.
Da giugno è evidente il decremento. Anche qui solo come dato esplicativo prendiamo i primi di ogni mese. 1 giugno (904), 1 luglio (260), 1 agosto (96), 1 settembre (92) per poi raddoppiare il 1 ottobre (203) e raggiunge un valore 14 volte superiore il 1 novembre (2.844).
LA SITUAZIONE ATTUALE
Siamo al terzo giorno di lockdown. E’ ancora molto presto per fare un rapporto tra prima e seconda ondata. Anche per delle semplici differenze oggettive: a marzo si affrontava un virus nuovo, sconosciuto e imprevedibile. I ricoveri di TI, come scritto, a marzo sono passati in una settimana a triplicare.
Questo scenario, nonostante i numeri più alti della prima fase della prima ondata, in ottobre non si è ancora mai verificato. Da una settimana all’altra i ricoveri in TI non sono arrivati a raddoppiare. Sintomo, come ha spiegato il dottor Valerio Dal Bono, che potrebbe trattarsi di un’ondata più lunga, il cui trend cresce più lentamente rispetto a marzo. Ma, comunque, continua a crescere.
Stando al bollettino di ieri i dati dicono che ricoverati in terapia intensiva sono 284 (con un incremento+16 rispetto a ieri). Mentre i ricoverati non in terapia intensiva sono 4122 (+251 rispetto a ieri).
Si può notare come i ricoveri siano già al momento superiori del numero più alto registrato nella prima ondata. Ma, come detto, a marzo mancava il dato giornaliero.
Quanto può reggere il sistema? Icardi ha parlato di 10-12 giorni. Tra il 16 e il 18 novembre si potrà effettivamente certificare il peso della seconda ondata sulla sanità piemontese.
Nel video l’intervista di Andrea Parisotto all’assessore alla Sanità Luigi Genesio Icardi effettuata venerdì 6 novembre, primo giorno di lockdown regionale.