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Attualità | 19 agosto 2024, 08:08

Nuovo studio sulle beidane: ci sta lavorando Tourn Boncoeur che ha già raccolto novanta esemplari

Il conservatore del Museo valdese di Torre Pellice ha iniziato la ricerca a marzo ed auspica di pubblicarla nel 2025

Collezione di beidane

Collezione di beidane

Due a Firenze, tre a San Marino, diverse a Parigi... senza contare le numerose presenti a Torino: all’Armeria Reale, al Museo della Montagna e nei depositi degli enti museali. Per ora sono novanta gli esemplari di beidana individuati da Samuele Tourn Boncoeur, conservatore del Museo valdese di Torre Pellice, ma il suo obiettivo è di arrivare ad un centinaio. Sono la base del suo studio comparatistico sull’arma da taglio simile a un machete che deriva da un attrezzo contadino e che è considerata alla stregua di un ‘attrezzo etnico’ nel mondo valdese. La ricerca, che Tourn Boncoeur auspica di pubblicare nel 2025, è iniziata a marzo. “L’unico studio sulla beidana ha ormai cinquant’anni e il suo autore, Giorgio Dondi, aveva potuto basarlo solo su 28 esemplari” spiega il conservatore. Proprio nel Museo valdese per cui lavora, si può vedere la collezione più significativa di beidane composta da otto esemplari.

Da chi venivano prodotte? Dove? Erano utilizzate prevalentemente come attrezzi o come armi? Queste sono alcune delle domande a cui Tourn Boncoeur vuole trovare delle risposte: “Sappiamo alcune cose: ad esempio che col tempo hanno subito delle modifiche tanto da renderle più utili in battaglia che come attrezzo agricolo, ma uno studio sulla loro storia non si può basare su fonti archivistiche anche perché il termine beidana è apparso solo nel 1889, prima venivano considerate alla stregua di falcetti o roncole”. Un altro obiettivo della ricerca di Tourn Boncoeur è individuare l’origine del nome che ha ispirato il titolo della rivista quadrimestrale di cultura e storia nelle valli valdesi ‘La Beidana’: “Ci sono diverse ipotesi, tra cui che derivi dall’espressione ‘becco d’anatra’ che può richiamare la forma della lama”.

Reperiti nei musei e nelle collezioni private, gli esemplari sono stati scelti per epoca, area di produzione, scopo: “Quasi tutti provengono dal Piemonte, dalla Savoia e in particolare dalla Maurienne e se ne trovano anche altrove. Tuttavia l’impressione è che per una buona parte siano state prodotte in Val Pellice”. Lo studio potrebbe confermare quindi l’ipotesi che si tratti di un ‘attrezzo etnico’ e soddisfare le curiosità degli appassionati: “C’è interesse nel mondo dell’antiquariato e quello dei collezionisti che vogliono saperne qualcosa in più”.

Elisa Rollino

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