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Economia e lavoro | 04 febbraio 2023, 07:36

"Cameriere?", una domanda che non trova risposta: "Orari, stipendi, ma manca anche professionalità in chi assume"

Petrasso (Amira Torino): "E' un mestiere che richiede sacrifici, però servono retribuzioni adeguate e con la pandemia l'offerta si è ampliata abbassando la qualità: chi si prende cura dei clienti deve prendersi cura anche del personale"

camerieri al lavoro con vassoi e bicchieri

Sempre più spesso le strutture faticano a trovare personale di sala

Cercasi cameriere. Oppure maitre. I cartelli spuntano sempre più numerosi, in questi mesi, allargando la forbice tra la domanda e l'offerta di lavoro, soprattutto in alcuni settori.

Ma come mai questa mancanza di personale in sala ristorante o nei bar? Perché i proprietari e i gestori non riescono a trovare professionisti per affrontare il lavoro quotidiano, nonostante tanta gente che cerca un impiego?

Difficile trovare risposte semplici a temi complessi e articolati, ma ci sono punti di osservazione che possono risultare interessanti.

Come quello di Aldo Petrasso, fiduciario di Amira Torino, associazione che in tutta Italia rappresenta maitre e personale di sala e che si occupa anche di formazione.

L'aumento di offerta ha abbassato la qualità

Un primo punto riguarda l'effetto espansivo che si è verificato in questi ultimi anni: tanti hanno tentato l'avventura aprendo un'attività come bar o ristoranti. "Con la liberalizzazione delle licenze c'è stato senza dubbio un aumento di strutture, anche di basso livello, dove non sempre c'è la preparazione necessaria, a cominciare dai titolari - dice Petrasso -. Questo influisce nella gestione e nel clima del contesto lavorativo: tensione, nervosismo e pressioni che derivano dalla mancanza di conoscenze da parte di chi ha aperto l'attività e quindi non sa come affrontare la situazione".
A questo si aggiungono anche pretese che non possono trovare risposta. "Ci sono titolari che si aspettano competenze e professionalità che a 20 anni non si possono avere e questo genera tensioni e conflitti. La dimostrazione è che in ristoranti e alberghi dove ci sono professionisti in cabina di regia non ci sono problemi di personale".

I cambi "sociali" della pandemia

A questo aspetto se ne aggiunge un secondo: i cambiamenti negli stili di vita seguiti a un periodo traumatico come il Covid. "Il periodo della pandemia ha portato un modo di vivere con esigenze e priorità diverse da quello che si pensava prima: tempo libero, gestione dei propri spazi, indipendenza. Ma sono fattori che in concreto si sposano poco da ciò che richiede una professione come la ristorazione: orari strani, fine settimana lavorativi, sacrifici. Senza trascurare l'effetto che può avere avuto il reddito di cittadinanza". "Senza voler generalizzare, l'impressione è che molti ragazzi cerchino qualcosa di immediato senza troppo sacrificio, in orari diurni (mentre il nostro lavoro per almeno metà del tempo è in orario notturno, anche dopo le 22). Chi ci prova, dopo poco tempo si scoraggia e cambia lavoro".
C'è poi l'aspetto delle offerte di lavoro: "Ce ne sono di tutte le forme: fino a 30 anni fa la situazione era diversa, c'era meno scelta e meno distanza nella componente economica. Oggi ci sono più possibilità in cui non sono richieste mansioni specifiche e gli orari non sono impegnativi".

Le retribuzioni non adeguate

La terza testa di un drago che si fatica a domare, inevitabilmente, è quella legata agli stipendi: sacrifici da un lato e professionalità dall'altro non possono che prevedere salari all'altezza. "Al di là dei fenomeni distorsivi, che sono un discorso a parte - dice Petrasso -, senza dubbio non ci sono retribuzioni che possono attirare particolarmente i ragazzi: lavorare alle 22 in fabbrica prevede una maggiorazione per il turno di notte. Questo non avviene nel settore della ristorazione. Serve un contratto nazionale da parte del Governo, speriamo che il ministero del Turismo se ne occupi". E poi serve anche flessibilità: "Lavorare nei fine settimana è un sacrificio, è chiaro a tutti. Ma qui deve intervenire la sensibilità e la capacità di chi gestisce una struttura. Possibile che non si possano dare un sabato o una domenica di riposo, nell'arco di un mese? Eppure spesso capita così: e in strutture dove ci si prende cura dell'ospite, non è possibile pensare che non ci si prenda cura anche del personale".

I difetti nel percorso formativo

La chiusura del cerchio, infine, arriva dall'aspetto della formazione. Perché se "fuori" il mondo è complesso, anche nel percorso per arrivarci non sono tutte rose e fiori. 

"Come Amira Torino stiamo facendo partire corsi per maitre e profili di sala con il contributo di professionisti di grandi strutture, ma nel settore ci sono problemi evidenti. Dietro il discorso dell'alternanza scuola lavoro, per esempio, si è nascosta una riduzione di ore di laboratorio. Soprattutto nei primi due anni. Si rischiano situazioni in cui, nel biennio, i ragazzi arrivano ad aver aperto al massimo due bottiglie di vino, fatto dieci caffè e servito i propri compagni cinque o sei volte. E le ultime riforme hanno ulteriormente ridotto le ore di laboratorio settimanali: dal 2005 che si facevano 36 ore di formazione si è scesi a 33 ore settimanali, andando a intaccare proprio le prove pratiche. Bisogna ridurre gli sprechi, non le spese: altrimenti a rimetterci sono i ragazzi".

Massimiliano Sciullo

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