“C’è chi ama fare le parole crociate... a me piace studiare il cinese”. Giuseppe Petenzi, ex dipendente della Pmt di Pinerolo, fotografo che collabora con il settimanale l’Eco del Chisone e appassionato di sport, da quattro anni studia la lingua del Paese della Grande Muraglia e, come autodidatta, ad aprile, ha ottenuto la certificazione che attesta il superamento del test Hskii (Hanyu Shuiping Kaoshi), rilasciata in base alla capacità di comprendere e scrivere 300 caratteri. Ha sessantadue anni è voglia di studiare ancora: “Lo dico anche sempre a mia moglie... tutto è possibile se ci si impegna – racconta –. D’inverno, quando fuori fa freddo, riesco a studiare anche per un’ora e mezza e ho portato con me il libro anche in vacanza. Potrei puntare a raggiungere il livello Hskiii che prevede la conoscenza di 450 caratteri”.
Amante della fotografia e del disegno, ciò che ha affascinato Petenzi è l’aspetto visivo del cinese che ha scoperto dal 2015 al 2017, durante i suoi viaggi per la Pmt di Pinerolo: “Percorrevo le strade di Langfang una città di milioni di abitanti, a 70 chilometri da Pechino, nella regione dello Hebei. Dappertutto c’erano monitor e scritte luminose che mi lasciavano a bocca aperta: – ricorda – l’aspetto degli ideogrammi mi ha profondamente colpito”. Allora era addetto alla qualità dell’azienda e il suo compito era quello di trasferire i trucchi del mestiere ad una ditta locale che produceva macchine da carta. Durante quei viaggi però parlava in inglese e si scontrava quotidianamente con la difficoltà a comunicare in una lingua apparentemente molto complessa: “Pochissimi cinesi conoscevano l’inglese ed ho avuto diversi problemi in albergo così come davanti ai menù dei ristoranti, solitamente non erano tradotti”. E non mancavano gli inconvenienti anche sul lavoro: “Il cinese è un lingua molto espressiva, ricorre molto alle intonazioni: mi capitava quindi di scambiare alcune discussioni tecniche all’interno dell’azienda come vere e proprie litigate”.
Con la cassa integrazione, conseguente alla liquidazione della Pmt, Petenzi decise di impiegare parte del tempo che si era liberato per imparare a decifrare gli ideogrammi che tanto l’avevano affascinato. Prima di tutto frequentando un corso a Pinerolo, poi, con la pandemia, da autodidatta.
“Così ho imparato il Putonhua, la versione semplificata della lingua che mi permette di intrattenere, ad esempio, qualche chiacchiera al ristorante cinese – spiega –. Ma è facile capirsi soprattutto con le seconde e le terze generazione di immigrati, con chi è appena arrivato è più difficile”.
Per lui quella lingua, così come la cultura di cui è espressione, continua ad avere luci ed ombre: “Per alcuni aspetti il cinese potrebbe essere semplice: i verbi, ad esempio, sono privi di coniugazione e non esistono gli articoli, mentre è complicato l’utilizzo dei classificatori da inserire nelle frasi nelle quali un nome è qualificato da un numerale” spiega.
E, dal suo punto di vista, c’è qualcosa di luminoso e di buio anche nella cultura che ha iniziato a conoscere nei suoi viaggi di lavoro e che approfondisce ora con lo studio della lingua: “Ho visto poche volte il cielo azzurro a Langfang, tanto è alto il livello di inquinamento nelle città ma sono rimasto affascinato dal rispetto dalle aree pubbliche. Un esempio tra tutti: spesso all’aperto si incontravano tavoli da ping pong, destinati all’uso collettivo, ed erano sempre in ottimo stato: mai qualcuno penserebbe di vandalizzarli”.