Flavio Di Malta, 40 anni, è nato a Sanremo. Cresciuto con il calcio, ha dovuto abbandonarlo a causa di un infortunio al ginocchio. È stata la bicicletta, lasciata a 14 anni, a riportarlo su una strada inattesa: quella del cicloturismo. Oggi è guida accreditata presso la Regione Liguria e l’Accademia Nazionale di Mountain Bike. Dal 2020 questa è la sua professione principale, dopo una fase iniziale da attività estiva e occasionale.
Flavio, che cosa significa davvero essere guida cicloturistica?
Vuol dire molto più che conoscere i sentieri. Una guida sceglie l’itinerario adatto al livello del gruppo, gestisce i tempi e le pause, garantisce sicurezza e assistenza. Ma soprattutto crea relazione: trasforma un giro in bici in un’esperienza condivisa. Il nostro compito non è solo portare le persone alla meta, ma fare in modo che il percorso resti come un ricordo bello, cucito su misura.
C’è un episodio che ti è rimasto impresso durante i tuoi tour?
Sulla Via del Sale accompagnavo un padre con il figlio tredicenne. Il ragazzo era su una e-bike, io e il padre in muscolare. A un certo punto, nell’ultima salita, la batteria ha mollato. Gli ho dato la mia bici e ho preso io la sua, spenta, finché il motore non si è raffreddato. È stata dura, ma non ci siamo fermati. Alla fine il ragazzo è arrivato in cima con orgoglio, il padre felice di lui. Quella salita, che sembrava impossibile, è diventata il ricordo più vivo di tutto il tour.
Il bello del tuo lavoro è anche l’incontro con le persone. C’è un’esperienza che racconti volentieri?
Una famiglia malese: padre, madre e figlia. Abbiamo trascorso tre giorni di tour. Ricordo la pioggia del secondo giorno: io proponevo di rimandare, il padre mi ha risposto sorridendo che per loro non era nulla rispetto ai monsoni. La figlia, meno allenata, al terzo giorno era stanca: l’ho portata al Mercato Annonario di Sanremo a provare i fichi d’India, che non aveva mai assaggiato, ed è stato sufficiente per cambiare l’umore. Sono momenti semplici che restano: da allora con il padre, Jimmy, siamo rimasti in contatto. Mi ha invitato in Malesia, appena posso ci vado di sicuro.
Prima di diventare guida facevi tutt’altro. Cosa ti ha spinto a cambiare?
Lavoravo nel settore della cartoleria, ma era un mercato in declino: fatturazione elettronica, e-book, digitalizzazione hanno trasformato tutto. Io avevo studiato relazioni internazionali, parlavo lingue e amavo il contatto con le persone. Lo sport è sempre stato parte di me. Quando ho iniziato i primi accompagnamenti in bici, ho capito subito che quella era la mia strada. All’aperto, tra persone e movimento, mi sentivo nel posto giusto. Ho investito in corsi e formazione tecnica, trasformando una passione in una professione. Il negozio era una gabbia: la guida, invece, è diventata la mia libertà.
Molti temono di non essere all’altezza: “40 chilometri, tutto il giorno in bici… ce la farò?”
Ogni tour è diverso e viene costruito su misura. Prima di partire faccio sempre domande per capire chi ho davanti. Ho sempre un piano A, ma anche delle varianti sul tema. Le pause sono fondamentali: bere, fotografare un panorama, assaggiare un frutto di stagione. Intanto si recupera fiato senza accorgersene. In certi tratti più difficili propongo di scendere e camminare insieme. La chiave è avere sensibilità, adattare il percorso alle persone, permettere a tutti di arrivare in fondo con soddisfazione.
Come vedi il rapporto tra trekking e cicloturismo?
La bici ti permette di vedere molto di più in meno tempo: più chilometri, più panorami. In discesa c’è il piacere di correre senza fatica. E l’avvento delle e-bike ha reso la bici accessibile a chi non era allenato, allargando la platea. In comune con il trekking resta il contatto con l’aria aperta e la lentezza rispetto al turismo tradizionale.
Cosa consigli a chi si avvicina al cicloturismo nel Ponente Ligure?
La Liguria è speciale perché in pochi chilometri passi dal mare alle montagne. C’è la pista ciclabile costiera, pianeggiante e sicura, ideale per chi inizia o vuole pedalare senza pensieri guardando il mare. Poi ci sono i giri su strada, per chi cerca distanze maggiori e salite regolari. Chi vuole un’esperienza intermedia può scegliere i percorsi cicloturistici nell’entroterra, tra uliveti e borghi, senza difficoltà tecniche particolari. E infine ci sono i sentieri di enduro, dedicati a chi ha già tecnica ed esperienza. Il bello è che tutto questo convive nello stesso territorio: in poche ore puoi partire dalla costa e ritrovarti a oltre 2.000 metri sul Monte Saccarello, con un panorama che abbraccia il mare e le Alpi.
Un tour che sintetizza il tuo modo di operare?
Uno dei più apprezzati parte dalla ciclabile e porta verso l’entroterra. Dopo una prima salita al Poggio, celebre per la Milano–Sanremo, si entra nei caruggi rapiti dal fascino del Borgo. Poi si attraversa il roseto di Antonio Marchese, un ibridatore che mi ha dato fiducia e mi permette di portare dentro i partecipanti. Si prosegue fino a Ceriana, dove vale la pena fermarsi a scoprire chiese e confraternite. Da lì, uno sterrato tra ulivi e terrazzamenti porta verso Bussana Vecchia, paese rinato grazie agli artisti. La giornata si chiude con un rientro dolce, magari un aperitivo vista mare. È un tour che mescola natura, cultura e socialità: l’essenza del cicloturismo.
"Flavio conclude con una frase che racchiude il senso del suo lavoro: «I turisti sono, per natura, felici: cercano scoperta e relazione. Io non faccio altro che accompagnarli in questo, con la bici come mezzo. Il vero obiettivo è ciò che resta dentro di loro, come ricordo»".