In Val Pellice e in Val Chisone si è fermato anche il mondo del nuoto, quest’oggi, per dare l’ultimo saluto a Nella Nicola, vedova di Domenico Magra, e storica figura di riferimento delle piscine di Luserna San Giovanni e Perosa Argentina che sono rimaste chiuse per lutto. Nicola aveva ottantun’anni ed è morta martedì 25 novembre. Da quel giorno il suo profilo Facebook è stato inondato dai ricordi di chi l’ha conosciuta a bordo vasca. Abitava nella sua casa nell’ex convitto delle operaie di Pralafera, luogo dove si era spostata nel 1979 con la sua famiglia, perché il marito aveva aperto un’officina nello spazio sottostante.
Era ancora in fasce Nicola quando superò una delle fasi storiche più drammatiche del Novecento in Val Pellice, e non sarebbe stata l’ultima.
Dall’incendio della casa alla crisi della Mazzonis
“Era una neonata quando sua madre, la nascose in fretta e furia dentro una federa di cuscino per potersela caricare sulla spalla e scappare nei boschi, mentre i tedeschi davano fuoco alla loro casa di Angrogna” racconta il figlio, Matteo Magra. Suo padre era originario di Villafranca Piemonte mentre la madre era un’angrognina. La situazione continuò ad essere complicata anche dopo la guerra: “Aveva appena la terza elementare quando venne mandata a servizio a Torino”.
Tornata in Valle iniziò a lavorare alla Mazzonis, azienda che gestiva lo stabilimento di Pralafera a Luserna San Giovanni e nel 1964 si sposò con Domenico Magra, operaio alla Beloit di Pinerolo. “L’anno successivo al loro matrimonio però la Mazzonis fallì e la Beloit lasciò a casa molti lavoratori tra cui mio padre. Fu un momento drammatico: lui cominciò a fare piccole riparazioni e mia madre a guardare i bambini – racconta la figlia Daniela –. Successivamente la loro qualità di vita migliorò, ma non dimenticheranno mai quel periodo”.
I figli raccontano come Nicola uscì dalla povertà con una nuova determinazione: “Quando poteva cercava di aiutare sempre chi fosse in difficoltà economica. Anche se in famiglia eravamo in quattro, la tavola della cucina era sempre preparata per sette o otto persone, e a volte dovevamo smontare i mobili della camera per ospitare temporaneamente qualcuno”.
Piscina: la sfida accettata tra gli scaffali
La piscina di Luserna San Giovanni per lei rappresentò una sfida. Appena inaugurata venne affidata alla Libertas e Nicola spesso portava a nuotare lì sua figlia Daniela che poi divenne allenatrice. Le offrirono un lavoro come cassiera e lei accettò.
Successivamente la Libertas le propose di prendere direttamente la gestione: “In paese si sparse la voce della proposta ma Nella era titubante. Quando però, entrano in un negozio di Luserna, sentì che oltre lo scaffale due donne commentavano la notizia dicendo che non ce l’avrebbe fatta, lei si impuntò e accettò la proposta” racconta la sorella Ornella Nicola.
Fondò quindi l’associazione Due Valli che gestisce anche la struttura di Perosa Argentina: “Una volta andato in pensione anche mio padre fu coinvolto. L’aiutava intervenendo per la manutenzione”.
Anche la sorella Ornella iniziò a lavorare in piscina, così come la figlia Daniela che testimonia: “C’è stato sempre un clima familiare esteso anche agli utenti. Credo emblematica una frase pronunciata da una mamma che da bambina aveva iniziato a nuotare proprio con noi. Quando portò suo figlio alla prima lezione ci disse: ‘Così sono tornata a casa!”.
Le pallavoliste di Prievidza e le scarpe da ginnastica
La disponibilità di Nicola andava oltre le mura dell’impianto di via Airali. La porta di casa era sempre aperta per i giovani e le giovani pallavoliste di Prievidza, che giungevano in paese in occasione del gemellaggio sportivo iniziato nel 1991. La palestra, fulcro del gemellaggio, si trova proprio a pochi passi dalla piscina. “Quando la società sportiva telefonava a mamma, la sentivo semplicemente rispondere ‘Quanti te ne sono rimasti?’” ricorda Daniela. E così ospitava tutti quelli che non avevano trovato una famiglia disponibile.
Probabilmente aver vissuto la povertà le permetteva di entrare meglio in empatia con i giovani che arrivavano dalla città slovacca, che allora stava attraversando una fase di crisi economica. “Un giorno mia madre mi chiamò per farle da interprete: una ragazza slovacca piangeva disperatamente e non riuscivamo a capirne il motivo – ricorda Matteo–. Con un po’ di pazienza scoprimmo che le era stato rubato l’unico paio di scarpe da ginnastica che aveva e che i parenti le avevano comperato facendo una colletta proprio per partecipare al gemellaggio. Da loro infatti si allenavano scalze”. La decisione fu repentina, come ricorda Daniela: “‘E che problema c’è!’ sbottò mia madre. Prese lei e la sua compagna di squadra e le portò a comperare le scarpe da ginnastica nuove”.