“Ho rinunciato a giocare come portiere nella Juventus per allenare le ragazze della prima squadra di basket femminile alle Vallette”. Questa scelta racconta bene lo spirito del frossaschese Nino Ferraro, 72 anni, 50 dei quali trascorsi a insegnare sul campo da basket.
Erano gli anni ’60, in un contesto storico e sociale che vedeva la Fiat muovere le fila dell’intera città. “Io sono nato ad Agrigento, ma sono venuto a Torino che avevo 8 mesi. Il quartiere all’epoca era in piena costruzione, era stato predisposto da importanti architetti per Italia ’61. Noi eravamo tra le prime famiglie ad abitare i cinque palazzi di case popolari. Ho vissuto la mia giovinezza lì, nel periodo a cavallo tra gli anni ’60 e ’70”.
Ed è proprio nel quartiere delle Vallette che nasce la passione per la palla a spicchi: “Il basket è stato la mia vita. Era un quartiere difficile, dove vivevano 20 mila persone e si iniziava a creare un certo tipo di delinquenza. C’erano letteralmente un bar, una parrocchia e un sottochiesa. In questo contesto, abbiamo iniziato a giocare a basket con l’aiuto di don Bestetti. All’epoca io dovevo andare a giocare alla Juventus Giovanile, ma ho rinunciato perché d’estate avevo conosciuto il basket che mi piaceva molto di più. Abbiamo prima messo insieme una squadra maschile e poi ho iniziato ad allenare una squadra femminile”.
Tra le difficoltà dell’epoca nel mettere insieme un gruppo di giovani donne, nel 1968, la Don Orione arriva ai campionati regionali, battendo la più blasonata squadra della Fiat: “Quella vittoria è diventata un simbolo del quartiere. Per quel periodo è stato un valore sociale. La cosa importante, però è che la maggior parte di quelle ragazze sono cresciute bene, hanno avuto un’educazione, non si sono perse”. Oggi sono donne adulte, sono uscite da quel quartiere difficile che tuttavia grazie al basket le ha accolte e ha loro permesso di non perdersi.
“Ci siamo rivisti in video poco tempo fa. Mi sono fatto raccontare i loro episodi di famiglia che non conoscevo all’epoca. Mi sono fatto raccontare le loro storie, ho estrapolato alcuni episodi e ne abbiamo realizzato uno spettacolo teatrale con dieci repliche. Ora stiamo cercando una produzione per farlo diventare una serie o un film” rivela.
Dopo l’esperienza alle Vallette, Ferraro ha continuano ad allenare: “Per ogni squadra che ho allenato per me la cosa importante è stata aiutare questi ragazzi a crescere, non solo dal punto di vista sportivo, ma anche umano”.
Parallelamente alla carriera nel basket, va avanti quella nel mondo della fotografia scientifica: “La fotografia è stata importante per me perché mi ha permesso di vincere un concorso negli anni ’80 all’università. La fotografia scientifica nello specifico è cambiata molto in questi anni in cui ho lavorato alle Molinette e a Candiolo. Mi sono inserito nel gruppo degli informatici, dando supporto ai ricercatori nella parte video, grafica, e-learning, ma c’era sempre questo sogno nel cassetto che volevo realizzare”.
Il grande sogno è quello di diventare regista. “La prima esperienza l’ho avuta per ‘Torino violenta’, film di Carlo Ausino dove ho lavorato come aiuto regista. Tra il basket e il mio lavoro in ospedale, ho dovuto rimettere quel sogno nel cassetto. Quando poi sono andato in pensione, mi sono iscritto al Dams e ho iniziato a lavorare a lungometraggi e documentari” racconta.
In particolare, Ferraro con il Dams si è dedicato alla realizzazione del lungometraggio ‘Henko’, disponibile su Prime Video e il documentario ‘Dal fiore al barattolo’, sulle api in Val Troncea. In cantiere, c’è un documentario sulla storia di Frossasco e uno sulla vita della senatrice Mirella Giai. Infine, un progetto che sta a cuore a Ferraro è quello sull’emigrazione italiana nel mondo: “C’è molta documentazione a riguardo, dovremmo iniziare a lavorare su questo l’anno prossimo”.