Un campione capace di fermare il tempo. A 25 anni di distanza dal suo addio al calcio, Franco Baresi continua ad essere un fuoriclasse amatissimo, anche da coloro che non erano neppure nati quando era il capitano del Milan degli 'Invincibili' di Capello ed era il leader della nazionale.
Da Pasadena al teatro Superga di Nichelino
La riprova si è avuta giovedì sera fa a Nichelino: il teatro Superga era pieno, con un tifo da stadio, per la presentazione del suo libro 'Libero di sognare', nel quale racconta la sua straordinaria avventura, dai campi dell'oratorio ai trionfi in Italia, in Europa e nel mondo con la maglia rossonera. Anche se il punto di partenza è la finale della Coppa del Mondo del 1994 a Pasadena, quel rigore sbagliato contro il Brasile, le lacrime e l'abbraccio finale di mister Sacchi e dei compagni.
Mentre sullo schermo del teatro venivano riproposte le immagini più belle di una carriera esemplare, per introdurre il protagonista della serata, è scoppiato subito l'applauso quando si sono riviste le lacrime di capitan Franco al termine di quella partita che vide sfumare il sogno iridato della nazionale. Poi canti e cori da stadio, con tantissimi ragazzi in sala accorsi per ascoltarlo, oltre ai rappresentanti del Milan Club di Nichelino, ma anche di quelli di Chivasso, Pianezza e persino di Sassari. Perché Baresi "è una icona del calcio italiano, capace di unire tutti al di là delle bandiere, un modello e un esempio dentro e fuori dal campo", come hanno detto il sindaco (tifoso interista) Giampiero Tolardo e l'assessore allo Sport Franco Di Lorenzo.
Episodi e aneddoti di una lunghissima carriera
Sul palco erano presenti anche Gianfranco Irrera del locale Milan Club, il consigliere regionale Diego Sarno, l'ex vice sindaco Michele Pansini, conduttore di una riuscitissima serata che ha visto Baresi intervistato da Darwin Pastorin, una delle firme più celebri del giornalismo sportivo (oltre che cittadino onorario di Nichelino, ndr), che nella sua lunga carriera di inviato ha accompagnato molte delle avventure rossonere e azzurre del campione. "Ho voluto scrivere questo libro per essere di stimolo e di ispirazione per i giovani", ha raccontato Franco Baresi. "Tutto è possibile, se si cresce come me in un ambiente sano, senza tensioni e pressioni, poi poco per volta è arrivato l'agonismo, dall'oratorio al grande calcio. Ci sono state tante tappe fondamentali, ma l'aspetto umano è sempre stato importantissimo".
Poi è stato il momento dei ricordi degli inizi di carriera, l'essere in squadra con una leggenda come Gianni Rivera nel suo primo anno da titolare nel Milan (quello dello scudetto della stella nel 1979), cui seguirono le due retrocessioni in B ma anche il Mondiale vinto nell'82, anche se come riserva. "Quel aveva saputo fare della comunione di intenti la sua grande forza", ha ricordato Baresi. "Per questo dico ai giovani che non deve mai mancare il coraggio, bisogna sempre osare".
"A Marsiglia sbagliai ad accettare di ritirare la squadra"
Poi Franco ha ricordato i derby contro il fratello Beppe, a lungo capitano dell'Inter, l'avere "un attimo di esitazione prima di andare in un contrasto con lui. Erano sfide particolari, di grande emozione, mio fratello non era un avversario come gli altri". Poi, in una carriera costellata di trionfi, ha ricordato anche alcuni errori: il rigore contro l'Atalanta e la notte di Marsiglia, quando il Milan si ritirò dal campo lamentando lo spegnimento di un riflettore nel finale di partita (venendo poi punti con un anno di esclusione dalle coppe, ndr). "Io come capitano sbagliai ad accettare quella decisione, ma abbiamo pagato per quell'errore. La morale è che bisogna saper perdere, non bisogna mai dimenticarlo quando si è in cima".
"Questa serata, questo teatro pieno mi rende fiero. Il Milan è stata la mia ancora di salvezza", ha ricordato Baresi, dicendo di non aver mai pensato di lasciare i colori rossoneri, cosa che ne fa una delle ultime bandiere del nostro pallone. Poi sono arrivate anche le domande dei bimbi delle scuole calcio, prologo alla premiazione e al bagno di folla finale, con foto e selfie concessi con generosità e pazienza a tutti coloro che si presentavano sul palco.
Anche questo è essere campioni, nonostante si siano appese le scarpette al chiodo da un quarto di secolo.