Torino - 27 dicembre 2020, 16:15

Bettega e i 70 anni di “Bobby gol”, icona bianconera

Solo Del Piero e Boniperti hanno segnato più di lui nella storia della Juve. Gli esordi a Varese, dove Liedholm lo trasformò in attaccante, la malattia, alcuni gravi infortuni ma per oltre un decennio è stato primattore a Torino e anche con la nazionale

lo storico gol di tacco di Bettega a San Siro nel 1971

70 anni da Bobby-gol, come era il suo soprannome, quando indossava la numero 11 e la numerazione classica e la poesia di un calcio meno ricco ma più vero faceva sentire gli idoli della domenica vicini alla gente comune. Roberto Bettega taglia oggi un traguardo personale importante nella vita di ogni uomo.

Lo fa, con 178 reti, da terzo marcatore ogni tempo nella storia della Juve, dopo Del Piero e Boniperti, avendo contribuito alla causa bianconera  prima sul campo e poi da dirigente. E’ stato l’unico della triade (a differenza di Moggi e Giraudo) che non fu coinvolto nella bufera delle intercettazioni e di calciopoli che travolse la Juve nel 2006, ha continuato (salvo una breve parentesi) a restare in società fino all’estate del 2010, quando con l’avvento di Andrea Agnelli alla presidenza e di Beppe Marotta suo braccio operativo fu dato un taglio netto con il passato più o meno recente.

Bettega, voluto nel gruppo dirigente da Umberto Agnelli nel 1994, è stato un vicepresidente dalla presenza meno ‘ingombrante’ di quello che era stato per anni Boniperti, ma un collante prezioso nel rapporto tra squadra e società quanto il suo illustre predecessore, grazie ad un passato da giocatore carico di gloria, gol e vittorie. Lui che è stato attaccante dai piedi buoni, modernissimo nel modo di giocare, formidabile nel gioco aereo, tanto da essersi meritato l'appellativo di erede del grande John Charles.

Dopo aver fatto tutta la trafila nelle giovanili bianconere, scoperto da quel grande talent scout che è stato Mario Pedrale, nell’estate del 1969 venne mandato in prestito (a farsi le ossa, come si diceva ai tempi) al Varese in serie B. Il grande Nils Liedholm ne centellinò l’ingresso in squadra, convincendo il ragazzo che era nato centrocampista a trasformarsi in attaccante di movimento. Risultato: a fine stagione i lombardi furono promossi in A e Bettega fu il capocannoniere, pronto per fare ritorno alla sua amata Juve. Qui lo attendeva Armando Picchi, che era stato il libero della Grande Inter, allenatore giovane che Italo Allodi aveva voluto portare a Torino per iniziare un nuovo ciclo. Subito a segno al debutto, a Catania, ma poi Bettega rimase a digiuno fino al termine del girone di andata, eppure Picchi non smise mai di metterlo in campo.

Bettega ha ricordato che quella fiducia che gli venne accordata, malgrado fosse un attaccante incapace di trovare per mesi la via del gol, fu fondamentale per l’autostima di un ragazzo che magari, finendo in panchina o ai margini, avrebbe potuto perdersi. Nel girone di ritorno Bettega iniziò a segnare a raffica e non smise più,  anche se Picchi non fece in tempo a vederlo esplodere, perché una brutta malattia se lo portò via in poche settimane. Al suo posto arrivo ‘Cesto’ Vycpalek, che prima di essere lo zio di Zdenek Zeman, era stato calciatore di ottimo livello e poi allenatore di un Juve due volte campione d’Italia e capace di raggiungere la prima finale di Coppa dei Campioni nel 1973.

Bettega fu l’alfiere di quella squadra nel primo periodo, prima di veder messa a rischio la sua carriera (e per un breve periodo anche la vita) a seguito della tubercolosi che lo colpì all’inizio del 1972. Dopo tanti mesi di forzata inattività, il ritorno ad alti livelli fu lento e faticoso, tanto che nell’estate del 1973 si parò di un suo possibile passaggio al Cagliari nella trattativa che avrebbe dovuto portare alla Juve Gigi Riva, affare che non andò in porto perché “Rombo di tuono” decise di restare fedele all'isola.

Forse per la Juve è stato meglio così perché nel frattempo, ritrovata efficienza fisica e continuità di impiego, Bettega è diventato il leader dell’attacco di una squadra che ha continuato a vincere – salvo rare parentesi – anche sotto la guida di Parola e poi di Trapattoni. Nasce così la leggenda di Bobby-gol e Bettega, oltre che l’alfiere bianconero, diventa anche grande protagonista in azzurro (dove firmerà 19 reti in 42 presenze), raccogliendo proprio l'eredità di Riva, componendo con Paolo Rossi la coppia d’attacco di quella nazionale che incantò il mondo nel 1978 in Argentina, non adeguatamente premiata dal quarto posto finale.

Ma il gol di Bettega contro i padroni di casa, futuri campioni del mondo, dopo una azione in velocità e uno scambio di prima con Pablito, è una perla che resta scolpita nella storia. Come il gol di tacco a San Siro contro il Milan che aveva firmato nell’autunno del 1971. L’appuntamento con la storia per l’Italia di Bearzot sarebbe arrivato nel 1982 in Spagna, ma Bettega non fece parte di quella spedizione perché messo fuorigioco da un gravissimo infortunio, a seguito dello scontro con il portiere belga Munaron dell’Anderlecht, in una gara di Coppa dei Campioni.

E alla Coppa dei Campioni è legato anche il suo ricordo più amaro, perché nel maggio dell’83, alla sua ultima partita in bianconero, prima di intraprendere un’ultima esperienza al Toronto Blizzard, voleva salutare sollevando al cielo la coppa dalle grandi orecchie, ma il gol di Magath in avvio (dopo un’occasione avuta dallo stesso Bobby-gol) gelò la Juve e vide infrangersi sul più bello il volo di una squadra che era arrivata imbattuta e strafavorita alla finale di Atene contro l’Amburgo.

Dopo l’esperienza nel soccer americano, Bettega ha intrapreso la carriera di commentatore televisivo, prima di indossare i panni di dirigente e contribuire a una lunga serie di vittorie tra il 1994 e il 2006. Ma se gli domandate quale sia stata la sua stagione magica, lui vi risponderà sempre il 1976-77, quando una Juve tutta italiana (gli stranieri sarebbero tornati solo all’inizio del decennio successivo) vinse la Coppa Uefa e conquistò lo scudetto alla stratosferica quota 51 punti (su 60 disponibili) in un duello tricolore con il Toro di Graziani e Pulici che durò per tutto il campionato. E Bobby con i suoi gol fu determinante sia in Italia che in Europa per quel doppio trionfo. Anche se poi, nel corso degli anni, i rapporti con Boniperti e Trapattoni, che erano stati i creatori di quel formidabile gruppo, si sarebbero deteriorati.

Oggi Bettega vive le vicende della Juve da tifoso e appassionato, dopo aver dedicato una vita intera ai colori che ha amato fin da bambino, con il sito ufficiale che lo ha omaggiato definendolo “una grande leggenda della storia bianconera”.

Massimo De Marzi